Fecondazione eterologa cresce del 120%. Ma l’Italia è in ritardo di dieci anni. E 9 gameti su 10 arrivano dall’estero.
La pratica in Italia è permessa solo dal 2014. E chi desidera usufruirne arranca ancora tra liste d’attesa e assenza di donatori. La soluzione per gli esperti? Pagare la prestazione e migliorare l’informazione. Manca una cultura della donazione.
Altri studiosi, tuttavia, mettono in luce altri aspetti. “La donazione femminile è più complessa di quella maschile, è vero. Credo tuttavia che, oltre al tema del rimborso, ci sia quello di una scarsa cultura della donazione”, spiega Marco Filicori, presidente di CECOSItalia (Centres d’Études et de Conservation des Œufs et du Sperme), che proprio al tema della fecondazione eterologa ha dedicato il Congresso Nazionale 2019 (Torniamo alle nostre origini). Filicori sottolinea poi un altro aspetto ignorato dai giovani uomini e donne italiani, cioè il fatto che ai donatori vengono fatte gratuitamente tutta una serie di utili indagini ai fini di valutarne la fertilità. “Gli uomini possono venire a sapere che ci sono problemi nella produzione di spermatozoi, mentre le donne possono scoprire di avere pochi follicoli, con conseguente rischio di andare in menopausa precoce. Inoltre va ricordato che la donazione di ovociti non preclude la fertilità della donna, ovvero non c’è alcuna diminuzione o abbattimento della riserva ovarica, cioè il numero di follicoli e degli ovociti in essa contenuti. In qualche modo è simile alla donazione di sangue”. È in parte d’accordo Marta Baiocchi: “Oltre al mancato adeguamento organizzativo delle strutture pubbliche, l’altro grande problema è la scarsità o assenza di donazioni interne, da imputare alla mancanza di informazione. Ad esempio, in Italia i rischi di iperstimolazione oggi sono praticamente azzerati”.
Nessuna controindicazione, dunque, nella donazione di ovociti? “Per quanto riguarda i possibili effetti negativi a lungo termine, per esempio sterilità e tumori, gli studi esistenti non indicano un aumento del rischio in seguito a stimolazioni ovariche ripetute. D’altra parte, questi studi non sono ad oggi considerati definitivi, perché raccolgono numeri relativamente limitati di donne, e analizzano periodi relativamente brevi. Questo significa che, mentre si possono escludere fenomeni di ampie dimensioni, effetti piccoli potrebbero ancora sfuggire ai conti: si continuano quindi ad accumulare dati e informazioni un po’ in tutto il mondo. In via cautelativa, le società mediche raccomandano in ogni caso di non sottoporsi a più di sei cicli di stimolazione ovarica nell’arco della propria vita”.